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Atelier du Monde

 

La possibilità di dare vita agli atelier creativi e ai percorsi arteterapeutici nasce, diversi anni fa, dal desiderio di riportare alla luce una concezione autentica dell’arte ripartendo dalla nozione di artifex.

L’artifex nell’età antica era una qualificazione degna di nota.

Nel mondo romano era colui che esercitava un'ars intesa come mestiere richiedente un complesso di cognizioni tecniche. Nella cultura greca τεχνìτης era anche nel significato di attore, e in questo senso, probabilmente, vanno intese le ultime parole di Nerone, come sono riportate da Svetonio: ‘qualis artifex pereo’(Svet., Nero, 49).

In tutta la storia antica si ebbe un trattamento di favore nei confronti di tale categoria.

L’imperatore Costantino con la costituzione de excusationibus artificum (Cod. Theod., 13, 4, 2 e Cod. Iust. x, 66, 1) esentò dai munera, prestazioni pubbliche obbligatorie, gli artifices artium di tutto l'Impero purché occupassero il loro tempo libero a perfezionarsi nel mestiere e ad istruire nello stesso i loro figli. In epoca medioevale con lo sviluppo delle corporazioni e dei relativi statuti l’artifex continuò ad essere tutelato e a godere di una buona considerazione sociale, a prescindere dalla ricchezza posseduta. Con l’affermarsi dei valori dell’Umanesimo e ancor di più con il Rinascimento si assiste ad un’ascesa del ruolo dell’artifex quale protagonista della vita culturale e della diffusione dell’arte, soprattutto grazie al mecenatismo.

L’aspetto più significativo di tale concezione sta nel nesso inscindibile tra la capacità tecnica e la libertà espressiva. Se è vero che tale figura nasce come sviluppo delle arti cosiddette “servili” in quanto distinte dalle arti liberali, è innegabile che alla base dell’attività artistica manuale vi era la padronanza di nozioni tecniche e discipline che trascendevano dall’ambito strettamente operativo. La forma mentis dell’artigiano era sempre la stessa a prescindere dall’ambito applicativo prescelto. Altro aspetto ragguardevole era la trasmissione del sapere che avveniva privatamente all’interno delle botteghe e delle officine artigiane. Il rapporto intercorrente tra maestro d’arte ed apprendista ha segnato un canone che, senza soluzione di continuità, ha dimostrato la sua valenza didattica e formativa nei secoli. L’identità tra produzione creativa e attività lavorativa rappresentano l’altissimo livello di libertà individuale frutto di tale concezione.

Con l’industrializzazione, l’artigianato ha iniziato il suo lento declino, connotandosi in termini sempre più deteriori.

Nella seconda metà dell’Ottocento la Confraternita dei Preraffaelliti denunciò esattamente la rottura dell’equilibrio di cui tale concezione del mondo e dell’arte era depositaria cercando di riabilitare il modello tradizionale. In totale controtendenza con lo spirito dell’epoca, William Morris fondava il sodalizio Arts and crafts, rincorrendo l’utopia di diffondere tra le classi non abbienti prodotti artistici durevoli di uso quotidiano… La sorte di tale progetto dimostrò quanto l’ideale di un’arte massificata fosse anacronistica. I prodotti artistici non potevano competere con quelli industriali e finirono per essere destinati a pochi committenti benestanti. Le avanguardie del Novecento, strette nella morsa degli eventi bellici, non riuscirono a recepire l’intuizione della contraddizione intrinseca tra arte e progresso tecnologico.

Nel ventunesimo secolo, da Mies Van Der Rohe in poi, il design industriale ha posto la pietra tombale su ogni questione in tal senso.

Il consumismo post-industriale, la società liquida e tutti i paraventi pseudo culturali che ne derivano hanno portato all’alienazione pura e semplice.

Per questo, in un momento storico che per la sua durezza ed instabilità può essere paragonabile ai momenti salienti del passato, ci sembra attuale riproporre la concezione artigianale. Oggi si continua a commettere l’errore di confondere il conservatorismo con la tradizione, relegando quest’ultima alla gerontofilia: “tutto ciò che è nuovo è buono, il resto è retaggio stantio e retrogrado”. L’artigiano è condannato ad estinguersi. L’Europa, con la sua silenziosa dittatura improntata alla massimizzazione liberista della concorrenza ha accelerato questo processo immettendo nei commerci locali la diffusione selvaggia di prodotti seriali. L’artigianato, quello autentico che trae origine nella concezione dell’artifex, è un valore da tutelare, non in chiave utopistica riesumando i fantasmi d’un passato remoto. Si tratta, invece, di ripartire nel presente, dalla riscoperta del valore didattico dell’esperienza artistica tradizionale. Inoltre la formazione scolastica professionale, che dal dopoguerra in poi si è risolta in un’anticamera non retribuita della fabbrica, con il tasso di disoccupazione raggiunto non offre più alcuno sbocco lavorativo ai giovani. Si potrebbe dunque riscoprire un modello formativo attingendo proprio a questo contesto.

La potenzialità dell’attività pratica, in termini di armonizzazione e sublimazione, può rappresentare un valido rimedio all’alienazione sociale e culturale.

Il fortissimo legame che lega l’artigiano ai materiali grezzi ed il procedimento di trasformazione e sublimazione, attraverso cui crea la sua opera, rievocano la connessione con gli elementi naturali primo fra tutti la Terra. Pertanto quale nuovo artifex, nella sua umile veste di lavoratore-creatore, egli può essere il migliore interprete delle istanze artistiche di quest’epoca.

 

Quando:

Progetto avviato dal 2005

 

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